MA QUALE HALLOWEEN…IN SARDEGNA FESTEGGIAMO “IS ANIMEDDAS”. ECCO LA STORIA!

MA QUALE HALLOWEEN…IN SARDEGNA FESTEGGIAMO “IS ANIMEDDAS”. ECCO LA STORIA!
Da quando anche in Italia ha preso piede la festa di Halloween, l’ultimo giorno di ottobre si festeggia un usanza che seppur con tanti nomi diversi richiama sempre ai “festeggiamenti” in memoria delle anime defunte. 

In Sardegna è da sempre tradizione la cosiddetta festa de “Il bene delle anime” ossia “is animeddas”, così chiamata soprattutto nel sud dell’Isola, mentre nelle zone del Nuorese è conosciuta come “su mortu mortu”.

Se il nome cambia a seconda della zona dell’Isola, bisogna però dire che anche in Sardegna tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre la tradizione era del tutto simile a quella anglosassone. I rituali hanno, infatti, analogie davvero notevoli con quelli della conosciutissima festa americana, con zucche intagliate e bambini che bussano di casa in casa chiedendo doni o, in alternativa, minacciando scherzetti. Possiamo, anzi, ben dire che la festa è assolutamente una tradizione europea, che assume diversi aspetti e rituali a seconda della zona e della Nazione in cui la si festeggia. Gli americani, come loro solito, sono stati bravissimi a tramutare queste antiche tradizioni del Vecchio Continente in un grande business commerciale, quello di Halloween, che poi è quello che da qualche anno a questa parte si tenta di fare anche in Italia.

Ma come funzionava in Sardegna? Nel Campidano e in tutto il sud dell’Isola i bambini andavano a chiedere, di porta in porta, qualche dono per le “piccole anime”, da cui il nome “is animeddas”. Anticamente ai bambini venivano donati dolci preparati in casa come le pabassinas, su pani de saba, e soprattutto un dolce che merita attenzione anche per il nome che lo caratterizza, ossu de mottu (osso di morto), a cui venivano aggiunti poi altri doni come le melagrane, le castagne e la frutta secca.

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LO STAFF

13 pensieri su “MA QUALE HALLOWEEN…IN SARDEGNA FESTEGGIAMO “IS ANIMEDDAS”. ECCO LA STORIA!

  1. Nella Baronia è chiamato “Peti coccone” da cui la filastrocca
    “Peti peti cocconr..
    – nond’amus atti
    – su culu martheddatu. Cotti i sa urredda. Zia culi niedda

  2. Ho 73 anni e mi ricordo benissimo per noi bambini era meglio del carnevale i regali più ricevuti erano pabassinos, melaghidonza,e figu sigada.

  3. ho 75 anni e da noi a sassari nella sera e notte del primo di novembre bambini , ragazzi e non solo uscivano mascherati con la faccia sporca di carbone e a volte delle lenzuola avvolte addosso a mo di fantasmi e andavano a bussare alle porte delle case canticchiando una filastrocca che diceva così:”semmu junti a li molshti molshti si non zi deddi carigga e vinu vi demmu a colshti”. traduzione , siamo venuti ai morti morti se non ci date ficchi secchi e vino vi diamo alle costole. tutto ciò ovviamente in tono scerzoso e canzonatori tanto che nessuno si esimeva di distribuire al ” gruppetto” dolcetti , castagne , ficchi secchi, e vino per i piu grandi. i giovanotti più renitenti all’ora tarda, al rientro a casa , sovente depredavano il tavolo imbandito di cibarie diverse che con grande amore e devozione la mamma aveva preparato per cibare i defunti di famiglia come da atavica tradizione popolare.

  4. AVETE TRALASCIATO DIRE IL SENDO DEL PETI COCCONE – MORTU MORTU O IS ANIMEDDAS!!
    CHE AI BIMBI CHE BUSSAVANO ALLE CASE, VENIVANO OFFERTI DOLCETTI E FRUTTA SECCA SOLDINI E FRUTTA (li mettevano dentro una federa si cuscino) IN CAMBIO DI UNA PREGHIERA PER LE ANIME DEI PROPRI CARI DEFUNTI… QUESTO ERA IL SENSO !

  5. non metto in dubbio che Halloween sia una festa tradizionale nata nei paesi di origine celtica, ma è stata forzatamente importata in Italia, per scopi biecamente commerciali, e forse (ma qui sono cattivo) per contribuire a sradicare le nostre tradizioni. Comunque anche mia madre a Cagliari fino agli anni 70 preparava la cena per le anime, stando attenta a non mettere in tavole coltelli e forchette, che potevano essere usate dai morti per fare male ai vivi. Qualche volte ha preso degli spaventi perché quei lazzaroni di miei fratelli più grandi, rientrando a tarda ora, si mangiavano i cibi messi in tavola.

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