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LA SARDEGNA INDIPENDENTE SAREBBE RICCA COME IL LIECTHENSTEIN

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Poiché ci piace andare controcorrente e memori che parole come autonomismo e federalismo sono passate di moda anche perché trasformate in barzellette da chi anni fa ha avuto il merito di intuirne le potenzialità vogliamo insistere, contribuendone alla rivitalizzazione, su ciò che oggi è meno popolare rispetto a ieri ma non per questo meno necessario al paese. 

Come più volte postato su questa rivista la nostra idea è che lo stato italiano vada sciolto e sostituito da una confederazione di stati indipendenti che, a loro, volta potranno avere la struttura di repubbliche federali (un’Italia di tante Svizzere confederate tra di loro). Una delle obbiezioni che ci viene contestata è che un progetto simile farebbe sprofondare nella povertà le regioni del sud. Non è vero e lo si può intuire da ciò che potrebbe diventare la regione forse più pronta ad accettare tale sfida ovverosia la Sardegna in cui le pulsioni autonomiste e indipendentiste non sono mai venute meno.

L’Italia, come è notorio, ha territori che hanno interessi diversi sia per motivi geografici che economici.

La Lombardia ad esempio ha una economia industriale legata alla Mittel-Europa mentre la Sardegna è una bellissima isola al centro del Mediterraneo che, se fosse indipendente, potrebbe diventare come il Liecthenstein ovverosia un paradiso fiscale senza rischiare di dover passare dalle forche caudine dell’Unione Europea da cui la Sardegna, se le convenisse, potrebbe anche uscire.

Il bello degli stati indipendenti ma confederati è quello di potersi liberamente costruire l’ordinamento giuridico più gradito godendo però dei benefici che possono derivare dall’essere parte di un consorzio confederativo in grado di creare efficienti economie di scala e massa critica su alcune funzioni che gli stati confederati decidessero di delegare a partire dalla comune tutela degli interessi a livello internazionale e dalla difesa.

La Sardegna potrebbe benissimo adottare misure che le consentirebbero di essere uno stato-zona franca a fiscalità minima ma anche di adottare misure a tutela della riservatezza dei capitali tipici di alcuni stati cosìddetti paradisi fiscali. Continuerebbe ad essere legata al resto d’Italia da un accordo confederativo e all’Unione Europea da un accordo, tramite la confederazione, di libero scambio.

Se l’Unione Europea iniziasse a storcere il naso la Sardegna potrebbe decidere di uscirne, cosa che forse alla Lombardia non converrebbe, senza dover mettere in discussione la sua appartenenza alla confederazione italiana che altro non sarebbe che un consorzio volontario costituito sulla base di un trattato internazionale. La Sardegna potrebbe addirittura fregarsene di essere messa in una sorta di Black List dal resto d’Europa per motivi di carattere fiscale. Ma tutto questo cosa renderebbe ai sardi? Basta un calcolo. Il mini stato Liecthenstein ha un PIL pro capite pari a circa  109,000 euro annui e la regione Sardegna pari a circa 15,900 euro annui ovverosia quasi sette volte di meno. Se la Sardegna adottasse la legislazione del  Liecthenstein certamente non aumenterebbe di botto la sua ricchezza di sette volte ma sarebbe un bel crescere. Ma non solo.

Non avendo più l’obbligo del corso forzoso dell’euro, qualora decidesse di uscire dall’Unione Europea, la Sardegna potrebbe adottare al proprio interno politiche di Free Banking e moneta denazionalizzata con la conseguenza di poter alimentare ancora di più la propria crescita diventando un paese in grado di attirare capitali, imprese e persone molto ricche desiderose di vivere in pace, con i propri averi tutelati e nella massima riservatezza godendo delle notevoli bellezze dell’isola. Essendo l’isola al centro del Mediterraneo potrebbe attirare non solo imprese che investono nel settore turistico, che avrebbe un incremento considerevole considerando la zona franca, ma anche imprese che investono in tecnologia e innovazione essendo fra l’altro le università sarde un buon punto di partenza per investire in formazione e ricerca. C’è un però.

Finirebbe la politica del sussidio da parte dello stato centrale che non esisterebbe più e la politica di tenere aperte le cattedrali nel deserto formate dall’industria mineraria che produce un carbone che nessuno vuole più e dall’industria metallurgica energivora che non ha forse più senso che rimanga nell’isola ma con un simile livello di crescita alle rinunce iniziali corrisponderebbero immediati benefici. Se solo in questo paese anziché parlare di scie chimiche, signoraggio e microchip iniettati dalla spectre massonica desiderosa di governare il mondo iniziassimo a parlare di cose serie avremmo tutti più fiducia nel futuro ed sarei curiosi di sentire la risposta del popolo sardo di fronte a questa ipotesi.

Poiché sino ad ora di Tafazzi ne ho visto solo uno ed in televisione sono convinto che se in questo paese si iniziasse a discutere in modo costruttivo senza il paraocchi dei luoghi comuni e delle ideologie faremo dei grandi passi in avanti.

(di Ugo Calò, Presidente di Italia Confederata – fonte: www.lindipendenza.com)

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