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L’origine della pesca del tonno in Sardegna si perde nella notte dei tempi. Narra una leggenda di due marinai, i santi Pietro e Antioco, che, approdati sulle coste sarde, lungo le quali abbondavano grandi tonni, insegnarono ai pescatori dell’isola le complicate tecniche di pesca.
Non meno affascinante è la storia che ci racconta di un pastore il quale, osservando questi enormi pesci, raggruppati come mandrie in prossimità della costa, pensò di rinchiuderli con qualche mezzo, così come faceva con le sue greggi nell’ovile. Più prosaicamente è molto probabile che la pesca del tonno venisse praticata già in epoca nuragica, come dimostrerebbe il ritrovamento di arpioni di pietra e di fiocine d’osso in alcuni nuraghi. È certo che il tonno abbia esercitato il suo fascino e suscitato un forte interesse presso gli abitanti del bacino del Mediterraneo già in tempi remotissimi: lo testimonia un antico graffito, che lo raffigura sulla parete di una grotta, situata nell’isola di Levanzo in Sicilia, grotta abitata fin dal Neolitico.
È cosa certa anche che la pesca del tonno fu praticata da tutti gli antichi invasori della Sardegna. I fenici, ad esempio, ritraggono il tonno in diverse monete di bronzo, per i Cartaginesi era di buon auspicio mangiare questo pesce durante i banchetti nuziali, mentre in epoca romana abbiamo notizia del fatto che il medico Galeno sosteneva che i tonni pescati in Sardegna fossero preferibili a quelli catturati in altre regioni. E nel Museo Sanna di Sassari si può ammirare un mosaico romano, rinvenuto a Porto Torres, che mostra diversi pesci, tra i quali un grosso tonno.
Certo è che furono gli Arabi, nelle loro scorribande per le tre principali isole del Mediterraneo, ad importare in Sicilia, e probabilmente anche nella nostra isola, particolari tecniche di sbarramento del mare per la cattura del tonno. Difatti, se si studia la terminologia usata tra i tonnarotti, si può notare come questa sia in parte araba; il capo pesca viene, ancora oggi, chiamato rais, una parola araba che significa, appunto, capo. In tempi più recenti si ritiene comunemente che il primo ad introdurre il sistema delle reti fisse in Sardegna sia stato il mercante cagliaritano Pietro Porta. Questi, nel 1587, ottenne dal re Filippo II la concessione di calare nei mari dell’isola le sue prime tonnare. Lo fece lungo la costa occidentale, nelle località delle Saline, di Calagostina, Portoscuso, Porto Paglia e Porto Caterina di Pitinurri. Tuttavia bisogna ricordare che alcuni documenti sulla commercializzazione del tonno conservati negli archivi sardi, sono antecedenti anche a questo periodo: la pesca veniva infatti esercitata sicuramente già nel 1515.
Le tonnare in Sardegna erano proprietà del re che, a sua volta, le cedeva in locazione o le vendeva a ricchi uomini d’affari. Esse costituivano uno dei cespiti più importanti per la povera economia sarda, così come per le traballanti casse regie: le concessioni date dal demanio ad intrepidi imprenditori permettevano difatti al fisco di percepire delle cospicue entrate.
Nel 1654 il Re Filippo IV vendette al ricco patrizio genovese Gerolamo Vivaldi le sei principali tonnare dell’isola per 330.000 reali.
Nel Settecento, dopo alterne vicende, si ebbe un aumento della produttività, in coincidenza col disastroso terremoto di Lisbona del 1755, che fece allontanare i tonni dalla penisola iberica, spingendoli verso le coste sarde e le reti degli uomini.
La pesca del tonno e la sua lavorazione in tonnara divenne col tempo una delle principali industrie nazionali, contribuendo in maniera importante all’economia isolana. Uno sviluppo ulteriore si ebbe nel 1868, con l’introduzione del metodo di conservazione sott’olio, in barattoli di latta, e la successiva tecnica della sterilizzazione a vapore, inventata dall’industriale francese Nicolò Appert, che mise in parte fine alla preparazione dei tonni in barile. Oltre al Sulcis, un’altra zona importante, in Sardegna, per la pesca del tonno, è stata per secoli quella del Golfo dell’Asinara, nel quale sono state ospitate, nel corso del tempo, diverse tonnare: Trabuccato, localizzata nell’isola dell’Asinara; Cala Agostina, Predas de Fogu e Vignola, sul versante del golfo tra Sorso, Castelsardo e le Bocche di Bonifacio, tonnare queste che vennero utilizzate sporadicamente; e infine la tonnara Saline di Stintino. Quest’ultima disponeva anche di un grosso stabilimento di lavorazione in vicinanza della Torre delle Saline, ed era la più importante tra tutte: sulla base delle notizie lasciateci dal Cetti, si desume che la tonnara fosse attiva già alla fine del Cinquecento, anche se i primi dati ufficiali sulla quantità di barili confezionati (2097) fanno riferimento all’anno 1604. Alle Saline di Stintino si è pescato, con alterne vicende, fino al 1964, anno dell’ultima, vera mattanza.
Il ritorno delle tonnare
In questi ultimi anni, nonostante una crisi generalizzata della pesca, il tonno sta diventando un prodotto ittico sempre più prezioso: si sono infatti aperti nuovi mercati, grazie alla velocità delle comunicazioni e all’organizzazione messa a punto per valorizzare al massimo il pescato, soprattutto in Oriente dove, in paesi come il Giappone, in cui viene assorbita la maggior parte del pescato mondiale, vi è una grande richiesta di tonni, considerati un’autentica prelibatezza ed utilizzati principalmente per la preparazione del sushi, una pietanza nazionale basata sul pesce crudo. I tonni sardi oggi sono tra i primi ad essere battuti all’asta nell’enorme mercato di Tokyo e delle principali città giapponesi. Nel 1996 è stata rimessa in mare, con grandi sforzi, la tonnara di Stintino, ad oltre trent’anni dalla chiusura della Tonnara Saline. L’attività di pesca è ripresa ad opera della Società Stintino Tonnare Nord-Ovest Sardegna. La nuova tonnara è stata ubicata esattamente nella stessa posizione dell’antica Tonnara Saline; per la ricostituzione della ciurma è stata coinvolta la locale Cooperativa Pescatori, ingaggiando una parte di coloro che aveva già lavorato nella Tonnara Saline negli anni sessanta, e il rais Agostino Diana. Sono stati anche reclutati giovani marinai poco esperti, anche per incoraggiare la rinascita di una professionalità che si stava perdendo, pur avendo una grande tradizione nel paese e nella comunità di Stintino. Nel periodo che va da aprile a giugno è facile, percorrendo le strade del paesino, incontrare sul molo i tonnarotti che preparano le reti, o vedere di primo mattino la musciarra al porto, di ritorno da una ricognizione; oppure, avvicinandosi ai gruppetti di pescatori seduti a cogliere i raggi del tiepido sole primaverile, percepire le loro chiacchiere e i loro discorsi sui tonni che, a quanto pare, sembrano non volere più passare nel golfo dell’Asinara, forse perché offesi dal grave inquinamento provocato dall’industria petrolchimica.
L’ambizioso progetto ha già assunto ed assumerà nel tempo, se questa attività verrà portata avanti, un’importanza notevole, se non altro dal punto di vista culturale, sociologico e turistico. Lo scorso anno, ad esempio, una troupe americana ha ripreso le varie fasi della sagra del tonno, svoltasi in paese. Ma la principale rilevanza di questa ripresa attività è, al momento, soprattutto scientifica. Infatti, allo scopo di dare un contributo di conoscenza sulla circolazione dei tonni nel Mediterraneo, nella tonnara di Stintino è cominciata, nel 1998, una campagna di marcatura con la tecnica “pop-off satellite tags” Il progetto, che ha visto la collaborazione entusiastica del rais e della sua ciurma, era diretto dal Prof. Gregorio Demetrio, dell’Università di Bari, coadiuvato da un gruppo di studio costituito da ricercatori di diversi paesi europei, dell’Università di Sassari e del Centro Studi Stintino. La prima marca liberata, dopo circa 14 giorni, ha trasmesso al satellite la propria localizzazione nel Mar Tirreno, ad est della Sardegna e Corsica. Questo significa che il tonno ha percorso una ragionevole distanza pari a circa 100 miglia, passando nello Stretto di Bonifacio.
La seconda marca ha iniziato a trasmettere dopo 25 giorni, dai pressi delle coste tunisine. A Stintino la tradizione della Tonnara è stata immortalata in un museo, realizzato nel 1995, dal nome significativo: il museo della tonnara, il ricordo della memoria. Questa struttura esternamente ricorda le antiche case del paese mentre all’interno l’ambientazione è simile al labirinto delle reti della tonnara; il colore predominate è il blu, con diverse camere che comprendono sezioni storiche, antropologiche e sulla biologia del tonno; infine si accede alla camera della morte, che fa immergere il visitatore nella vera atmosfera della mattanza. Numerosi i video che accompagnano la visita e spiegano progressivamente le varie fasi della pesca del tonno.
(di Salvatore Rubino)
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