Quarant’anni dopo i primi ritrovamenti, due grandi statue di arenaria raffiguranti pugilatori sono state riportate alla luce nel sito di Mont’e Prama, in provincia di Oristano. La postura della prima è simile a un bronzetto nuragico datato IX secolo a.C., quando la grande statuaria greca non esisteva. Ma sul recupero del tesoro è polemica
Sardegna, i Giganti riemersi dalla terra
riscrivono la storia del Mediterraneo
Archeologia, i giganti-pugili di Mont’e Prama
Ieri è cominciata la delicatissima operazione di trasferimento degli ultimi due Giganti di Mont’e Prama verso il Museo civico di Cabras. Ci sono volute due ore per imbracare la prima statua in un telaio di legno, chiuderla in una cassa e sollevarla con il braccio meccanico di una gru per caricarla su un camion. Le operazioni di prelievo della seconda statua si dovrebbero invece concludere domani, mentre l’attesa è già tutta per quello che è nascosto sotto il secondo pugilatore. Gli archeologi non si sbilanciano, ma qualche pezzo di arenaria rivelatore è già stato “liberato” e nuovi esami col georadar avrebbero confermato una “anomalia” che lascerebbe pochi dubbi. Non resta che attendere. Storia affascinante per un’impresa archeologica di eccezionale valore storico e culturale che ha già richiamato in Sardegna studiosi da tutto il mondo perché potrebbe riscrivere in parte l’epopea umana nel Mediterraneo, quando il mistero della datazione di quelle statue imponenti, alte tra i due metri e i due metri e mezzo, non sarà più tale. Con gli ultimi ritrovamenti la risoluzione del mistero sembra davvero più vicina. Perché alcuni fondamentali dettagli distinguono i due Giganti dalla trentina di statue riemerse, in gran parte a pezzi, ai tempi dei primi ritrovamenti a Mont’e Prama, circa 40 anni fa. Era il 1974 quando il mezzadro Battista Meli si ritrovò sotto la lama dell’aratro una testa di pietra. E con gli scavi che ne seguirono si scoprì che i Giganti sovrastavano una necropoli. Gli scavi nel sito nelle campagne di Cabras, finanziati con fondi dell’Università, sono ripresi cinque mesi fa con gli archeologi della Soprintendenza ai Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano e dell’Università di Sassari. Il 25 settembre è stato portato alla luce il primo Gigante. Ed era già altissimo il fermento degli studiosi intorno a quel titanico pugilatore. Quasi integro, privo di piedi e testa, con gli archeologi fiduciosi di trovare il capo proseguendo lo scavo, mentre i piedi potrebbero essere quelli posti su un basamento recuperato qualche settimana prima. Ma a rendere speciale questa prima statua è la postura: il pugilatore non ha il pugno col guantone e lo scudo elevati in alto sul capo, come i precedenti che si possono già ammirare nei musei di Cagliari e Cabras. Li ha invece stretti sul petto e sul fianco. Gli archeologi Alessandro Usai della Soprintendenza e Paolo Bernardini dell’Università di Sassari hanno spiegato che questo particolare rende il pugilatore somigliante in modo straordinario a un piccolo bronzetto nuragico ritrovato nella celebre tomba etrusca di Vulci, in provincia di Viterbo. Di quel bronzetto è stata ricavata con certezza l’età: IX secolo avanti Cristo, epoca in cui la grande statuaria greca era ancora da venire. Se il legame tra la statua di arenaria e il bronzetto fosse accertato definitivamente, i Giganti diventerebbero l’esempio più antico di “colossi” nella grande statuaria classica dell’area Mediterranea. A fine settembre, poi, il rinvenimento del secondo Gigante, ancora un pugile, stavolta con la testa ancora attaccata al collo. Condizioni decisamente migliori rispetto ai frammenti – tra cui 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo – che ricomposti ridiedero forma alle prime statue ritrovate di pugili, arcieri e guerrieri. Il nuovo ‘campione’ induce ora gli archeologi a porsi nuove domande. Una, in particolare: perché i due pugilatori sono scampati alla furia distruttrice dei Cartaginesi insediati nella fenicia Tharros, indicati come i più probabili responsabili della sistematica opera di distruzione dell’esercito di Giganti di arenaria che svettava su Mont’e Prama tra il decimo e l’ottavo secolo avanti Cristo, secondo le diverse teorizzazioni sin qui avanzate? Interrogativo che si aggiunge a quelli già ben presenti nella mente degli studiosi. Cosa rappresentavano, quel sito e quella immanente milizia di pietra, per le popolazioni della tarda età nuragica? Erano monumenti funebri di re divinizzati? Sacerdoti guerrieri? Antenati eroi? E il senso di quegli scudi rivolti verso l’alto, come a protezione da qualcosa proveniente dal cielo? E ancora: esistono riferimenti comuni tra quelle statue ed espressioni artistiche di altre civiltà del Mediterraneo? Le risposte dovranno darle i prossimi studi e gli scavi. Intanto, è stato rilevato un filo rosso che lega i Giganti di Mont’e Prama ad alcune maschere tradizionali della Sardegna. Il fotografo Nicola Castangia, di Nurnet, la Rete dei Nuraghi, ha ipotizzato che gli stessi pugilatori indossassero della maschere simili a quelle del Componidori della Sartiglia di Oristano, degli Issohadores di Mamoiada e dei Boes di Ottana: “Alcune teste presentano dei solchi laterali al volto che rimandano a un’ipotetica maschera applicata – spiega Castangia – in particolare, oltre a Su Componidori , ho raffrontato Issohadores con la testa del pugilatore, la testa del guerriero con l’elmo cornuto con la maschera di Ottana. Queste comparazioni non vogliono affermare che i Giganti siano uguali a una determinata maschera, bensì, se i Giganti fossero mascherati si potrebbe pensare a una Sardegna mascherata fin da 3000 mila anni fa”. I Giganti potrebbero dunque rappresentare figure mascherate, legate a un culto o a un rito ancestrale, di cui resterebbe traccia in quella tradizione che da sempre anima le strade della Sardegna nei giorni delle ricorrenze, conservando la memoria della caccia e della pastorizia, della lotta tra uomo e forze della natura, del rapporto dell’uomo con il destino, la vita e la morte. Ipotesi che, se approfondita scientificamente, potrebbe aprire nuovi scenari antropologici. Davanti agli archeologi si schiudono studi di altissima potenzialità, a cui la stampa internazionale ha già prestato attenzione spedendo in Sardegna i suoi inviati. Eppure, prima della scoperta a Mont’e Prama regnava l’indifferenza, con gli studiosi a lamentare le incursioni di turisti e curiosi. Finché, solo tre giorni prima del sensazionale ritrovamento del pugilatore senza testa, il sito era stato “visitato” dai tombaroli, che avevano approfittato della mancanza di un’adeguata vigilanza. L’archeologo Raimondo Zucca, tra quanti vissero la grande scoperta dei Giganti quarant’anni fa e ancora oggi tra i responsabili dei lavori, per due giorni ha pagato di tasca propria il servizio di guardia prima che se ne facesse carico l’Università di Sassari. Situazione avvilente, cambiata radicalmente con le scoperte successive. Dallo stato di abbandono alla ribalta internazionale. Con contorno di polemiche, soprattutto politiche, sul passaggio del sito di Mont’e Prama sotto la gestione diretta del Ministero dei Beni Culturali e conseguente ‘riduzione’ del ruolo dell’Università di Sassari e delle sovrintendenze locali. Polemiche che in questi giorni coinvolgono la scelta del Mibact di affidare il recupero, l’indagine scientifica e la valorizzazione dei Giganti a un’impresa emiliana scelta con procedura negoziata, senza passare da un vero e proprio bando pubblico, per un lavoro di oltre 430mila euro che interessa anche l’area di Tharros. Tra qualche settimana, conclusa la campagna finanziata dall’Università, gli scavi passeranno dunque dagli archeologi sardi alla nuova impresa che risponderà direttamente al Ministero. Il sottosegretario Barracciu oggi ha confermato, in un’intervista al quotidiano La Nuova Sardegna, che non ci saranno interruzioni nei lavori. In mezzo alle polemiche, i Giganti, strappati alla terra e al passato, osservano silenziosi.
—
—